giovedì 5 dicembre 2019

Padre pt.1




Faceva caldo, come sempre in Alabama, anche se era sera ed il campus del college era illuminato da una luna quasi piena. Il cielo era limpido, Phil si chiese perché a Boston il cielo poteva essere altrettanto bello. Seduto su una panchina di sassi e legno attendeva, come al solito lei era in ritardo, ma ormai ci aveva fatto l’abitudine dopo tutto quel tempo assieme.
Capì che c’era qualcosa che non andava appena la vide, Christine, dove c’era sempre un sorriso che illuminava la stanza ora c’era solo tensione, si mordicchiava il labbro inferiore come quando era nervosa per un esame e i suoi grandi occhi chiari erano rossi, ancora bagnati di lacrime. Vedendola scattò in piedi, ad occhi spalancati ma prima che potesse dire qualsiasi cosa gli prese la mano.
“Ti prego Phil siediti, devo parlarti …” Era fatta così, non ti faceva mai parlare, si sedettero assieme vicino, lei si sistemò quei lunghi capelli biondi e mormorò poche parole.
“Dobbiamo finire questa storia, Phil. Non possiamo più andare avanti.”
“E’ per Gabriel?” Gli chiese, non era la prima volta che nascevano certi dubbi. Fare l’amante era difficile, Philip l’avrebbe imparato nel corso della sua vita. Chi ti racconta che gli amanti si prendono il meglio di una coppia mente, essere un amante è combattere.
“N-No, cioè sì …” Le tremava il labbro inferiore ed è lì che notò che se l’era morso tanto da farlo sanguinate.
“Se non ce la fai va bene, Christy, va bene. Lo capisco, davvero, vorrà dire che ci vedremo…”
Non potremo più vederci, Philip.” Troncò tanto bruscamente da fargli ritirare la mano, come se scottasse, come se lo avesse colpito in faccia con uno schiaffo tanto violento da fargli mancare il fiato.
“Cosa?! Ha scoperto di noi? Ma come …”
“No Phil, sono incinta.”
Lo interruppe di nuovo, questa volta non fece male, non subito. Si sentì intontito, come se stesse vedendo quella scena da lontano. Quello era il posto dove si erano scambiati il primo bacio proibito eppure gli sembrò estraneo, così come gli occhi di lei così disperati e lontani, dove c’era la gioia di tutto il mondo ora c’era solo tristezza. Si era rotto qualcosa in lei, in lui, in loro. I rumori della città faceva da sottofondo mentre la guardava.
“Io non so cosa dire.” Le disse la verità, come sempre e lei sorrise ma in modo amaro, senza gioia. Gli sembrò che stesse per dire qualcosa nell’immediato, poi chiuse quelle labbra che aveva baciato mille volte e scosse il capo.
“Non devi dire niente, Phil. Presto sarò mamma e moglie, non c’è posto per te in tutto questo.” 
Non c’era mai stato tanto silenzio tra di loro come quella notte in cui si dissero addio. Lei lo accarezzò per asciugargli le lacrime, gli sorrise un’ultima volta con dolcezza e se ne andò, per sempre, spezzandogli il cuore.
La guardò un’ultima volta mentre se ne andava e il vento d’estate le faceva ondeggiare quei capelli biondi.

Più di ventuno anni dopo gli sembra di toccare quei stessi capelli mentre da una pacca alla testa di Michael, steso sul lettino dell’infermeria alla Warehouse 23.
“Stai andando bene, Mik, continua così.” Lo incoraggia come farebbe con altri Trooper, eppure il ragazzo lo guarda con quei occhi grigi e per un attimo gli sembra di rivedere la gioia della vita che aveva sua madre. Gli dice qualcosa, ma è troppo confuso per capirlo. Si volta per non farlo capire e se ne va.
Lui adesso è Philip Rogers, è Rage, è un patriota, un difensore dell’Umanità, un pazzo, un mostro, tutti lo conoscono in un modo o nell’altro. Non è più una matricola del college, non può mostrare debolezze, non può piangere e non può sorridere in quel modo.
Eppure mentre esce sorride, pensando che in fin dei conti anche se i capelli e gli occhi sono della madre, c’è qualcosa di lui in quel ragazzo.


venerdì 29 novembre 2019

Incubi




Non tornava a Boston da anni ma Philip ricordava benissimo quelle strade, quei scorci, quelle vedute anche in mezzo alla nebbia. I profili degli edifici gli erano familiari, persino i lampioni e le insegne al neon sfuocate lo erano. Camminava verso casa, in mezzo alla strada però, non aveva senso e non lo aveva neanche il fatto che non ci fosse nessuno, nemmeno una macchina attorno a lui. Era solo, o forse no, mentre camminava quando si voltava c’era qualcuno: Una volta era suo padre, con i suoi capelli bianchi e quei tratti così comuni; una volta era Dominic Clark, con la sigaretta in mano e quel modo elegante di fumarla; un’altra era Dima Ivanov intento a bere vodka e a sorridere con quell’aria di chi sapesse sempre qualcosa più degli altri.
Per Philip però tutto ciò era normale, anche quando si accorse che le sue gambe erano quelle di quando era bambino, sbucciate e con delle scarpe da ginnastica usurate.
“Quando quei ragazzi ti prendono in giro non dovresti rispondergli, lasciali perdere e si stuferanno.” Lo rimproverava suo padre, tenendogli la mano.
“Ma non è giusto, io non gli ho fatto niente!” La voce che gli usciva dalla bocca era quella di un bambino amareggiato mentre guardava suo padre.
“Il mondo non è giusto, Philip ed è il momento che tu lo impari.” Sospirò, pesantemente, il vecchio Clark. “E che non ti venga in mente di affrontarli, sono dei Mutanti, rischieresti solo di farti male.” Anche questa volta Philip rimase in silenzio, mentre sentiva quella stretta allo stomaco, quella maledetta stretta allo stomaco che avrebbe sentito per tutta la vita. Quel sapore di ingiustizia.
Qualcosa cambiò, ai suoi piedi, stava calpestando qualcosa di morbido e quando abbassò lo sguardo c’erano le sue gambe, avvolte da dei eleganti pantaloni neri come le scarpe che indossava. La cosa più strana però era su cosa poggiavano i suoi piedi: Un uomo dai tratti mediorientali, vestito in modo povero, lo fissava con occhi spirati e con un foro alla gola.
“Tutto bene?” Gli chiese il Senatore Clark accanto a lui, non gli rispose Phil, riprese a camminare semplicemente annuendo.
“Conosco qualcuno a Philadelphia, forse potresti finalmente usare le tue qualità per qualcosa di migliore del mero guadagno.”
“Qualità? Quali qualità?” Una domanda che oggi non avrebbe mai fatto, a nessuno, gli uscì tanto naturale da farsi pena da solo.
Dominic sorrise, divertito, prese una boccata di fumo e quando lo soffiò dalle narici si perse nella nebbia, scuotendo il capo.
“Alcuni uomini nascono con il dono di una naturale inclinazione alla violenza, Rogers. Dovresti accettare che tu sei uno di quei uomini e sfruttare la cosa a tuo favore.”
“Ma a me non piace.” Mormorò a bassa voce, abbassando lo sguardo. Stava calpestando dei ragazzi orribilmente mutilato, arti mancanti, ustioni, i volti che non erano bruciati erano pitturati col i colori dell’arcobaleno. “Non mi piace fare del male alle persone.”
“Fino a quando negherai la tua vera natura non potrai mai essere felice.” Lo avvertì quella voce calda, severa e paterna allo stesso tempo. Quando Philip si voltò a guardarlo c’era Dima Ivanov con lui, che lo osservava, quasi cupo in volto.
“L’hai fatto, Philp?” Gli chiese, come se lo stesse incalzando con un discorso che non ricordava. “Hai guidato le Aquile?
“Sì.” E lui gli rispose prontamente come avrebbe sempre fatto. “Ho chiesto loro di donare i loro Cuori, di far tremare questa città e loro l’hanno fatto.”
“Bene.” Ma non era soddisfatto, glielo leggeva negli occhi. “E tu l’hai fatto? Hai donato il tuo Cuore?”
Qualcosa sotto i suoi piedi gli sembrò più duro e instabile. Quando abbassò lo sguardo il corpo di Iphigenia Clark era lì sotto ed i suoi grandi occhi azzurri lo fissavano con un misto di rabbia e di scherno, nonostante il foro di plasma alla testa.
“Ho ucciso la figlia di chi amavo con tutto me stesso.” Questa volta la sua risposta fu incerta e forse, Dima, se ne accorse.
“Non è quello che ti ho chiesto, Philip. Tu hai donato il tuo Cuore?”
Quando tornò a guardare di fronte a sé si accorse che non c’era strada, non c’erano più edifici, era arrivato in cima nonostante non gli era sembrato di essere in salita. Era in cima ad una montagna di corpi, ma sotto i suoi piedi non c’era più solo la più piccola dei Clark. No, sotto i suoi piedi c’erano corpi che indossavano Power Shell e Advanced Suit. La cima sembrava essere composta dai suoi stessi compagni ed era una montagna di cui non vedeva la fine. Sotto di lui riconobbe i capelli ricci di Jeshua, gli occhi azzurri di Michael e il volto di Zoe, che lo fissavano con paura. La paura di chi non sa che fare, gli occhi dell’incertezza. Phil fu colto da un presentimento, un timore e si chinò, per spostare altri corpi, mentre il fiato gli mancava sempre di più e quando scostò l’ennesimo corpo si ritrovò in mano una mezza moneta, un dollaro d’argento e quando tirò fuori quel corpo erano gli occhi neri di Nora a fissarlo nello stesso modo.
Mentre le lacrime gli scendevano lungo le guance alzò lo sguardo, un’ultima volta e gli occhi rossi di Rage ricambiarono il suo sguardo. La sua voce, la loro voce, metallica e cupa gli pose un’ultima domanda.
Sei pronto a offrire il tuo Cuore?

Quando si svegliò di soprassalto nel suo letto non c’era nessuno a fissarlo, nel silenzio della Base Segreta c’era solo il respiro di Nora, regolare, a fargli da compagnia accanto a lui addormentata su un fianco con solo un lenzuolo a coprirla. Quando Philip si toccò il volto era bagnato di lacrime.